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STEFANIA FABRIZI, “IN OMBRA”
marzo - aprile 1999
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 IN OMBRA

Sempre più spesso, nei confronti della pittura, si parla di anacronismo."Anacronistici" sono i pittori, secondo una famosa defrnizione di Maurizio Calvesi, "anacronistico" pare essere il loro modo di interpretare e di tradurre i fatti del mondo, "anacronistico", infrne, è lo stesso gesto del dipingere, antico e legato ad un assetto sociale che ormai non esiste più. Non era una critica, quella di Calvesi, bensì una definizione, che intendeva tuttavia sottolineare un profondo mutamento, già in parte avvenuto, in parte ancora in atto, non solo dei linguaggi artistici, ma di tutte le forme di comunicazione. Ai mezzi tradizionali si sono aggiunti i mezzi telematici (computer, internet, video, ecc.), la cui caratteristica più immediatamente percepibile è la velocità. Velocità di realizzazione, poiché spesso dall'immagine realizzata con il computer si passa direttamente alla stampa su supporto fisico (tela, ma anche teli in pvc, carta fotografica, lastra di alluminio, ecc.), e velocità di fruizione, che di ITonte a queste opere è immediata e lascia poco spazio a divagazioni intellettuali.
Ludovico Pratesi parla di "arte in presa diretta", e con un'unica defrnizione chiarisce bene le modalità di questi nuovi linguaggi artistici. Un'arte di straniamento, anche, che porta i protagonisti ad allontanarsi prospetticamente dalla realtà, deformandola non solo nella forma ma ancor di più nei contenuti. Un'arte di volontà, perché è espressione del volersi imporre, da parte dell'artista, ad una oggettività a volte stretta, a volte inappropriata, a volte insufficiente.
Nuove prospettive, dunque, e nuova oggettività. Abitate da nuove figure. L'uomo non è più al centro degli interessi degli artisti, ma quando ci si concentra su esso, si cerca di capire o di interpretare il suo nuovo ruolo.
Nella ricerca di Stefania Fabrizi non c'è tecnologia, non c'è la velocità data dalla macchina.
Ma c'è lo straniamento, anche se è reso con tecniche assai diverse da quelle già citate. Il lavoro della Fabrizi suggerisce, da principio, l'adozione di un fare pittura tutto tradizionale: il rigore nell'esecuzione, l'ispirazione che guida i gesti, la costante ed urgente necessità di dare voce ad un'interiorità che, nella calma apparente, urla e vuole essere ascoltata. Tutto fa riferimento alla tradizione artistica. Ma Stefania è artista contemporanea, è anch'essa interprete dello spirito del suo tempo. Anche se non naviga in rete, ella dimostra di conoscere assai bene i cambiamenti ai quali, oggi, siamo sottoposti. Le figure che crea lo dimostrano (Gianluca Marziani li ha definiti "alienumani"). Non hanno più i lineamenti ben definiti della ritrattistica né le deformazioni delle avanguardie storiche, ma sono ridotti a contorni, simboli della nostra condizione e rappresentazione fisica delle emozioni. Credo che soprattutto quest'ultima defrnizione sia appropriata alle figure umane che la Fabrizi ci propone. In pochi altri artisti è infatti presente con altrettanta forza e costanza un continuo scambio, un vero e proprio dialogo, tra interiorità ed esteriorità, tra le passioni e i sentimenti e la tela o il foglio di carta, tra l'intimità dell'animo e la "socializzazione" di un'opera d'arte. Stefania Fabrizi riesce a dare corpo, immagine, contorni, ai sentimenti, alle emozioni, alle passioni, insomma a ciò che di più inafferrabile ed astratto esiste. Quelle figure semplificate, ridotte a volte ad una linea che definisce le sagome, con velature di colore accennate, nell'atto di compiere gesti tanto assoluti quanto semplici, sono il mondo, il mare, il cielo e la terra dell'artista, sono l'assoluto che ella sente ed esprime, sono tutti e nessuno, sono la condizione umana generalissima ed il singolo che vive questa condizione nei ristretti limiti della sua persona.
Figure nude, lisce, asessuate, fragili come cuccioli, inermi come soldati disarmati, smarriti come neonati, eppure, allo stesso tempo, imponenti come colossi, fieri come eroi, forti come giganti. Siamo noi quei Giganti, noi che riempiamo queste ultime ore del millennio, che abbiamo avuto la fortuna di vivere questo passaggio ma anche il compito difficile di interpretarlo e comunicarlo. Siamo l'anello nuovo che congiunge il passato con il futuro, che chiude un momento per gettare le basi di quello successivo, siamo senza tempo, eterni e caduchi, imperituri ed effimeri.
Siamo coloro che sanno, che conoscono, e che vivono, opponendo come difesa all'inesorabile destino la forza dell'interiorità, la consapevolezza della propria persona, la coscienza del proprio essere, la fierezza della propria condizione. Siamo quelli che cercano di resistere alla tentazione di cedere all'ombra opponendo la luminosa energia dello spirito. L'energia è tutta interiore, ci dice Stefania, e sempre lì va cercata, nelle profonde pieghe dei nostri sentimenti, nel tumultuoso mare delle passioni, nel silenzioso ascolto.
A queste figure assolute, la Fabrizi accosta simboli altrettanto assoluti: l'acqua, dalla quale i personaggi emergono o affondano o nella quale annaspano; l'ombra, spesso contrapposta alla luce, spesso come sorgente stessa di luce; i colori, il rosso, il nero, il verde, ad indicare stati d'animo, tensioni interne, situazioni. Infme i gesti, mai casuali, legati anch'essi ad una simbologia tanto comune quanto profonda. Queste figure si abbracciano, si allontanano, si sostengono, si cercano, si ascoltano, in una parola, vivono. Vivono come noi viviamo, e sentono come noi sentiamo.
Su questi piccoli fogli di carta da spolvero, con colori ad olio o con pastelli, Stefania Fabrizi riesce dunque a mostrarci l'uomo contemporaneo, forse del futuro, forse eterno.

Roma, 15 marzo 1999

Alessandra Maria Sette
Di ombra, di luce

Un giorno Oliviero Rainaldi, artista che molto stimo, mi disse che avrebbe voluto presentarmi il lavoro di una sua amica;
lavoro che giudicava di intensa qualità. Fu così che si presentò nella galleria de Il Polittico - che allora si trovava ancora in via di Monserrato - con questa sua collega che recava con sé una cartella di disegni originali e di fotografie di lavori di maggior impegno.
Cosa dire di questa amica? La giudicai una bella donna che rifiutava la consapevolezza di essere tale. Ancora colma di una timidezza da prima età che ne pervadeva i gesti e le espressioni, un pò curvata su se stessa come se intendesse riassumere la posizione fetale da un momento all~altro, mi diede la mano morbidamente per subito ritrarla quasi temendo che gliela tenessi un istante di troppo... Mi piacque d~istinto: emanava, nonostante tutto, una energia buona e bella anche se una «disperazione» antica - di cui sembrava anche un pò compiacersi - ne occultava la piena manifestazione.  Stefania Fabrizi - è chiaro che è di lei che sto parlando -  mi mostrò opere degne di un maestro del Rinascimento e in cuor mio ringraziai (forse, in realtà, mai abbastanza) Oliviero Rainaldi per avermela presentata.
Di cosa è fatto il suo lavoro? Ora, dopo anni che la conosco, la presento, e la amo in maniera anche gelosa - come forse, a volte, non arriva a credere e a comprendere (ma questa è una sottile linea polemica, come una linea di febbre, del nostro rapporto e del nostro dibattito) - posso dirlo con piena coscienza: il suo lavoro è fatto di respiro e lei a volte lo sa e a volte no. I corpi che dipinge e disegna sono corpi di luce: lei bada all'essenza, alla manifestazione del divino di cui noi esseri umani siamo parte integrante, al pensiero che è soffio del respiro divino.
Stefania vola alto, non cede mai al grazioso, ma aspira al potente: ne sond prova, anche in questa sede, certi corpi maschili r~si in assoluto, per linee nette e decise, in una espressione di forza dello spirito ancor prima che muscolare.
Ora, poi, comincia anche a pensare al rappòrto che esiste tra uomo e natura: rapporto totale, lJunico che davvero abbia importanza. Ed ecco un mare tempestoso, forse un chiaro di luna, o un viraggio nero di una visione diurna e assolata, chi può sapere, tanto è denso il senso di mistero che da questo piccolo lavoro emana.
Il colore di Stefania è sempre un colore che appare elaborato attraverso l'atto della meditazione trascendentale:
le sue terre rosse, costantemente in bilico tra Siena e Pompei, i turchesi a volte trasparenti come acque marine, certe biancheggiature improvvise e rapide, appartengono al momento di una visione intuitiva, del profondo - direbbe qualcuno ancora imbevuto di nozioni psicoanalitiche pertinente all'«altrove» che ci compete - potrebbe invece sostenere qualcun altro, affascinato dalle teorie della Nuova Era. Del resto, ciò che lei cerca, e rappresenta, è una Resurrezione, quale atto costante del riscatto dalle umane miserie, quale nuova, ulteriore possibilità che l'uomo può concedere a se stesso, in vita e oltre la vita.'
Ma dicendo queste cose di Stefania, ho il dubbio di non essere del tutto compreso,
perché, in realtà, lei sembra definire un mondo in ombra e raccontare vicende umane di chi,
a sua volta ha scelto e deciso di restare fuori della portata dell'Illuminazione, compiacendosi di un dolore che, secondo una visione che potremmo giudicare romantica a pieno titolo, autorizza l'artista a considerarsi davvero tale.
Eppure, il «disegno» dedicato alla vicenda umana di chi èin ascolto del proprio cuore è tutto nel segno e nel fuoco di questi piccoli capolavori di Stefania Fabrizi; e lei - che lo voglia o no, che lo sappia o no - è giunta al risultato attraverso la folgorazione del pensiero che, per il tramite della mano dell'artista, si perfeziona sulla carta innamorando di eguale amore l'occhio di chi sa guardare.

Arnaldo Romani Brizzi