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GONZALO ORQUIN , “VITA IN STUDIO”
novembre - dicembre 2011
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PRESENTAZIONE DI " TOMAS SHRMAN"        Gonzalo Orquin sta nella tradizione della pittura figurativa e in particular modo in quella spagnola. Eccome tutti i pittori spagnoli  - sopratutto dal siglo de oro in poi, fino ai primi del novecento - è venuto a roma, non solo in un lungo soggiorno romano - come il suo grande compaesano che veniva compare i quadri per conto di Filippo IV e farsi ispirare dalle meraviglie di Roma - ma si è stabilito nelle città eterna, dove ora lavora, non facciendo mai dimenticare nei sue opere le sue origini cromatiche  spagnole.Il suo “cesto di molette” in mostra fa pensare a Zurbarán al monastero di Guadalupe o potrebbe anche essere una riposta ironica a quel “cesto di pane” del 1926 del catalano Dalí (St.Petersburgh, FL)... come i suoi guanti di lattice fanno pensare a metafisiche memorie Dechirichiane... La fragile natura della vita quotidianaLorenzo Canova Attimi di una luce serale, gesti e azioni di ogni giorno che si trasformano in momenti di rivelazione nascosta in un riflesso di luce, nel luccichio di uno sguardo o nell’ombra che si distende da un oggetto: la pittura di Gonzalo Orquín segue e rinnova quel filo lieve e tesissimo che nella storia dell’arte, dal Seicento al Novecento fino a oggi, ha cercato di dare un senso all’effimero trascorrere della vita quotidiana. La pittura di Orquín, come accade a ogni artista degno di questo nome, è densa di suggestioni che fondano il suo lavoro di spagnolo che lavora in Italia e che si confronta con un’eredità che sente il bisogno di rivitalizzare e di rinnovare, senza cadere nella nostalgia sterile e senza però negare al contempo il suo fascino e la sua capacità attrattiva. Orquín, con un’innegabile dose di coraggio e di pazienza, è uno di quegli artisti che cercano di trovare un significato nuovo nel gesto lento della mano che usa il pennello per comporre con una materia liquida depositata su un tessuto preparato, sulla carta o sul legno, stratificandosi con lentezza, sfidando la rapidità spesso vana delle immagini che circondano la nostra vita e destinate a finire quasi sempre nell’armadio scuro e polveroso dell’oblio. Il metodo di Orquín è basato su una raffinata struttura di studi, di fotografie e di disegni che lo portano a un’esecuzione molto elaborata fatta di velature e di una pittura che si stratifica come un soffio di materia dalla lucentezza soffusa e vibrante di respiri e di ombre. Questa tecnica rigorosa e quasi ascetica è legata dunque a una temporalità dilatata, non soltanto per esigenze tecniche, ma anche per la componente meditativa che vibra nel cuore di questa visione fatta di sospensioni e di attese. Visitare lo studio di un artista aiuta sempre a comprendere una parte dei suoi segreti e anche Orquín non si può capire senza avere discusso davanti alle sue tele destinate a diventare i capisaldi di questa mostra, con opere fatte di pieni e di parti ancora scoperte che lasciano allo spettatore il piacere delle possibilità, del destino incerto che una tela può avere grazie a uno strato di colore in più o in meno, il gusto del gioco dello sguardo che ricompone e assembla le immagini a suo piacimento, seguendo la traccia sottile dell’abbozzo e del disegno preparatorio come un filo di Arianna nel labirinto della percezione. Orquín riesce a tenere aperta la sua visione su livelli multipli, rendendo quasi eroici e sacrali i suoi uomini nudi, le sue donne, i suoi oranti tatuati, in una visione che lega una componente di idealizzazione classicistica a certe esperienze della contemporaneità espresse non solo in la pittura, ma anche con la fotografia e il video. Sapientemente, Orquín fonde, in modo nascosto e allusivo, le sue riflessioni sulla tradizione viaggiando a ritroso, ricomponendo, saccheggiando e rivitalizzando la sua pinacoteca immaginaria, come ogni vero artista ha fatto da sempre, per dare nuova linfa al codice genetico dell’arte, da Bacon a Freud, da Balthus a Picasso, fino a Ingres, a Velázquez, a Zurbarán, a Guido Reni e ai primitivi fiamminghi. Il giovane artista mescola e ricrea quindi con efficacia due linee portanti dell’arte occidentale: i due ceppi del classicismo e del naturalismo che trattano da secoli da una parte la narrazione fedele degli eventi quotidiani, dall’altra la celebrazione della grandezza dei canoni classici, la riscoperta della loro purezza e della loro perfezione assoluta.Su queste tracce, le opere di Orquín ci lasciano aperte due strade parallele con alcuni sentieri che le uniscono: quella delle opere più grandi dove la figura umana prende il sopravvento e quella delle  nature morte dove il pittore sperimenta alcune soluzioni cromatiche, formali e luministiche differenti, più accese e talvolta maggiormente definite ma comunque importanti per sviluppare il suo percorso artistico nella sua completezza e nella sua composita ma unitaria natura. Ogni dipinto dell’artista è costruito mediante un’attenta collocazione degli oggetti e delle figure nell’architettura dei quadri; nelle opere più piccole Orquín utilizza ad esempio delle soluzioni prospettiche diverse che potrebbero portare a grandi sorprese se la loro spazialità ribaltata fosse usata anche nelle opere più impegnative. Anche la stessa pittura, nella sua stesura materiale, prende poi indirizzi differenti, lasciando saggiamente spazio al non finito e al vuoto nei quadri più grandi e portando a compimento la sua esecuzione nelle nature morte dove bottiglie di detersivo, guanti di gomma, scatole o mollette hanno bisogno di ritrovare la loro piena presenza per vibrare di una lucentezza quasi metaforica. Con una tessitura impalpabile e densissima, sugli interni dell’artista cala così una luce vespertina densa di memorie e di promesse, mentre un chiarore estremo dà corpo alla realtà delle cose solitarie che formano le sue nature morte. Con una reale forza di trasformazione e di sublimazione, Orquín dipinge uomini e donne che si vestono, mettono una calza, si pettinano o versano dell’acqua, chattano annoiati al computer, intenti insomma a quei gesti automatici e quasi scontati che non lascerebbero traccia nella memoria dei nostri giorni se l’artista non avesse deciso di nobilitarli e trasfigurarli attraverso la verità della sua rappresentazione, ritrovando il significato di momenti e di frammenti di vita smarriti nel tempo, di oggetti e gesti apparentemente banali, dando così un nuovo senso e un nuovo valore alla fragile natura delle cose e dei gesti quotidiani.